News del 7 giugno 2019 – Il Brigantino Monte Bianco – Armatori Riuniti Liguri-Lombardi di Genova – T.S.L 2.207

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  Il Monte Bianco, al comando del Cap. Scotto (Pasquale Scotto Lavina di Procida “Zio Pasqualino”), partì in zavorra da Genova il 26 agosto 1920 noleggiato per un pieno carico di carbone (circa 4.000 tonnellate) da caricare a Newcastle (Australia) e da scaricare a Valparaiso (Cile). In quel periodo erano ben pochi i bastimenti a vela che riuscivano a trovare dei noli accettabili. In verità dalla fine della Grande Guerra, era in coso, a livello mondiale, una crisi senza pari. Cadde il volume dei trasporti e con questo caddero i noli. L’offerta di stiva largamente superava la domanda e quindi uno stagnante marasma colpì la marineria tutta ed in particolare quella a vela. Da noi come in tutti gli altri Paesi marittimi, questo per la superstite marineria a vela suonò come sentenza a morte. A tutto ciò si aggiungeva l’inesorabile progresso della tecnica che con il celere diffondersi delle navi a vapore stava togliendo alle navi a vela ogni residua forma di sopravvivenza. Finalmente in crescita anche in Italia, avevano preso il sopravvento e si erano inserite in nuovi e proficui traffici su tutte le principali rotte oceaniche. Quei pochi velieri che erano sopravvissuti all’epopea della vela, ormai declassati dal loro rango tradizionale, erano relegati a svolgere, per quanto possibile, poco remunerativi traffici costieri e destinati, inevitabilmente, alla demolizione. Date le circostanze, il Monte Bianco poteva quindi considerarsi fortunato ad avere avuto ancora una possibilità. Nessuno avrebbe immaginato che quel bastimento non sarebbe mai più ritornato a Genova. Gli armatori accettarono quel viaggio non avendo altra alternativa che la vendita o la demolizione. Inoltre, sia gli armatori che i noleggiatori, erano a conoscenza che a Newcastle era ancora in corso un lungo sciopero di minatori iniziato nel mese di maggio del 1919, ma tutti erano sicuri che sarebbe terminato prima dell’arrivo del bastimento. Era troppo prematuro fissare il carico di ritorno dal Cile. Tuttavia, gli armatori erano piuttosto ottimisti, nonostante la crisi dei noli, che dalla costa cilena sarebbe poi uscito, senz’altro, il solito carico di nitrati per il Mediterraneo

Il viaggio di andata, via Capo Town, tra giorni di bonaccia equatoriali, correnti e venti sfavorevoli, durò più fi cinque mesi. Tra l’altro, durante la navigazione in Atlantico, il bastimento incappò, malauguratamente, nell’Aliseo di Sud Est a circa 500 miglia dalle coste del Brasile (Capo San Rocco), e perse quasi un mese a bordeggiare, senza alcun risultato, prima di riuscire a rientrare nella zona interessata dall’Aliseo del Nord Est e poter proseguire verso il Capo di Buona Speranza. Il bastimento transitò al largo del capo dopo circa 90 giorni dalla partenza da Genova. Era già il Natale del 1920. Restavano ancora circa 6.500/7.000 miglia che furono percorse in soli 43 giorni passando a levante della Tasmania.

Il Monte Bianco arrivò finalmente a Newcastle agli inizi di febbraio del 1921. Lo sciopero in corso alla partenza da genova era terminato nel mese di novembre del 1920, ma il porto era ancora congestionato dal gran numero di bastimenti e piroscafi ancora in attesa del loro turno di carico. Il minimo tempo di attesa per le navi in arrivo era di almeno due mesi. La notizia venne data dal pilota che, con l’aiuto di un rimorchiatore, portò il bastimento ad ormeggiare ad una boa alla foce del Hunter River per espletare le pratiche di arrivo. Il fiume brulicava ancora di bastimenti e piroscafi che erano ancora lungo le rive, affiancate anche in duplice fila. C’erano navi di tutte le bandiere tra cui, naturalmente, non mancava la bandiera italiana. espletate tutte le pratiche usuali e stabiliti i contatti con la agenzia, fornitori, ecc. il Monte Bianco venne rimorchiato in mezzo alla mischia ed ormeggiato con i cavi su una nave norvegese. Su tutti i bastimenti in attesa ferveva una alacre attività. Tutti gli uomini erano impegnati nella manutenzione dello scafo e delle attrezzature, sostituzione e cucitura delle vele ecc. Altre navi, quelle il cui turno stava per scadere, stavano già liberandosi della zavorra: Nel frattempo un andirivieni di lance appartenenti alle varie navi manteneva i contatti con le rive del fiume nella zona di approdo dei traghetti che tenevano i collegamenti con la città. Consci della grave crisi economica nessuno tra i Comandanti si era azzardato ad usufruire delle lance a pagamento che offrivano le Agenzie. Erano infatti tutti concordi che bisognava ridurre i costi della sosta in porto utilizzando i propri mezzi.

Il Comandante Scotto, completate le varie operazioni di rassetto e assestamento dopo la lunga e travagliata traversata, pianificò con l’equipaggio un vasto programma di manutenzione di tutta la nave: picchiettatura, pitturazione, rinnovo parziale del sartiame, manutenzione e sostituzione velatura dove necessario, pulizia casse acqua dolce, rinnovo dotazioni lance di salvataggio, revisione e sostituzione rizze, ecc. ecc. Per l’equipaggio del Monte Bianco, come del resto per tutte le altre navi in attesa, le ore di lavoro si alternavano con lunghe franchigie a terra dove si stabilirono contatti con la comunità italiana, alcuni giovani si fidanzarono con ragazze del luogo e poi, come è solito in queste situazioni, si intensificò lo scambio di visite tra gli equipaggi delle varie navi sia italiane che straniere presenti in porto. Durante questo periodo fu anche organizzato lo sbarco, su una apposita chiatta, di circa 700 tonnellate di zavorra, parte delle 1.000 tonnellate presenti a bordo. Era costituita da pietrame vario imbarcato a genova dalla famosa Confraternita dei Minolli. Il Monte Bianco era dotato di una calderina a carbone, congegno molto prezioso, che era collegata con un verricello posso a poppavia dell’albero di trinchetto, montato sotto un big. lo sbarco della zavorra fu eseguito in parte col verricello a vapore ed in parte con paranchi a mano.

Questa situazione di attesa, tra lavori, franchigie a terra con frequentazione della città, si protrasse per oltre tre mesi. Il 19 maggio, finalmente, il Monte Bianco ricevette il preavviso che, il giorno successivo, si sarebbe liberato l’ormeggio per la caricazione. Il giorno 20 mattina veniva completato l’imbarco di provviste varie e viveri. Nel pomeriggio si liberò l’ormeggio in banchina ed il bastimento, senza alcuna perdita di tempo, venne ormeggiato al posto di caricazione dove la zavorra residua fu sbarcata contestualmente ai primi gettiti di carbone degli elevatori meccanici. Il giorno 21, terminata la caricazione, il Monte Bianco fu immediatamente rimorchiato e fatto ancorare quasi all’uscita fal fiume, a ridosso della diga foranea. La banchina doveva essere subito liberata per dare posto alla nave successiva in turno. Tutti i preparativi per la navigazione furono eseguiti dall’equipaggio: chiusura e rizzata dei boccaporti, sistemazione delle cerate, posizionamento dei soliti cunei, preparazione della velatura e relative scotte. Quando queste operazioni furono terminate si procedette ad un rapido lavaggio della coperta per rimuovere tutto il carbone sparso durante la caricazione. in poche ore la nave fu in perfetto assetto di navigazione. Due rimorchiatori, uno con un cavo dalla prora e l’altro con un cavo dalla poppa, assistettero il bastimento mentre salpava l’ancora: Grazie alla calderina, salpare l’ancora non comportava più, come una volta, eccessiva fatica ed impiego di uomini. Un robusto cavo veniva passato sulla campana del verricello e, attraverso delle pulegge di rimando faceva ruotare l’argano salpa-ancore. Completata questa operazione, il rimorchiatore di poppa mollò il cavo e cessò il suo servizio mentre l’altro effettuò il servizio di rimorchio fin quando il Monte Bianco, raggiunto la zona foranea e spiegate tutte le sue vele, quasi tutte nuove e pulite, riuscì ad inserirsi in una bava di vento proveniente da Sud iniziando così il suo viaggio verso il Cile. era il 21 maggio 1921.

All’alba del 16 giugno il Monte Bianco, navigando con vento favorevole da ponente, aveva già coperto, in circa 26 giorni, quasi la metà del percorso per Valparaiso (6.257 miglia teoriche a cui vanno prudentemente aggiunte alcune centinaia di miglia per eventuali bordeggi e altre impreviste deviazioni di rotta). Continuando così. avrebbe potuto verosimilmente raggiungere Valparaiso non prima della metà di luglio 1921. In quell’alba gli uomini dell’equipaggio che stavano ancora riposando nei loro alloggi, sotto il castello di prua, si svegliarono di soprassalto per il forte aumento della temperatura nel locale e si precipitarono in coperta. All’interno del castello, la paratia di separazione dalla stiva era talmente riscaldata da trasmettere un’anormale calore a tutto il locale rendendo l’aria irrespirabile. Il segnale era inequivocabile: si trattava di autocombustione del carbone in corso nella stiva contigua. Fu subito dato l’allarme. Furono rapidamente ispezionati tutti i boccaporti per verificare la perfetta tenuta stagna. Furono allestite le due pompe antincendio che funzionavano con manovra a mano, mentre, con numerosi buglioli si irrorava acqua con acqua di mare le incerate dei boccaporti e tutta la coperta, nell’intento di far abbassare la temperatura delle lamiere. Nel frattempo era syaya accesa anche la calderina che, tra le sue molteplici funzioni, metteva in moto anche una pompa antincendio. Con il getto delle manichette la situazione sembrava ragionevolmente sotto controllo mente il sottocastello di prua veniva totalmente allagato. Dopo una apparente stasi, si registrò un nuovo aumento della temperatura anche in coperta mentre gli uomini continuavano incessantemente ad irrorare coperta e boccaporti. Dopo due giorni cominciò anche a fuoriuscire fumo denso e nero da qualche boccaporto mentre la navigazione continuava immutata, col vento in poppa, ma con la velatura ridotta. La lotta snervante, al limite di ogni resistenza, mentre tutto l’equipaggio si alternava sia alle vele che alle pompe, si protrasse per circa sei giorni fin quando, nella zona centrale del bastimento, iniziarono le prime vampate seguite da scoppiettii. Il carico era ormai in preda al fuoco. i getti d’acqua non servivano più a nulla anzi erano ormai da evitare perché avrebbero addirittura contribuito ad una ulteriore alimentazione del fuoco, considerato che i boccaporti non tenevano più. Tutta la nave era in preda a fuoco e denso fumo, tranne il cassero poppiero che sembrava completamente isolato.

Il Comandante diede ordine di preparare le scialuppe e si decise all’abbandono nave soltanto verso il tramonto del settimo giorno, quando ormai era ben evidente che nulla e nessuno avrebbe mai potuto spegnere quell’incendio. Due lance furono ordinatamente calate in mare mentre la nave, ormai in preda alle fiamme, si allontanava lentamente verso il suo triste destino.

Dalla lancia dove era imbarcato il Comandante era stata data una cima alla seconda lancia. La nave in fiamme, con parte della velatura ancora spiegata, si allontanava in direzione opposta a quella delle lance che, cullate da un’onda lunga da SW, trovarono un loro assetto naturale tra mare, vento e corrente, avviandosi verso l’incognito. A tarda sera, mentre le lance si allontanavano, una fragorosa esplosione illuminò per alcuni istanti il buio di quella notte tropicale riflettendosi sui banchi di dense nubi nere che sovrastavano tutta l’area. Seguirono subito dopo, alcuni fievoli bagliori che scomparvero rapidamente.

Furono gli ultimi segnali di vita del Monte Bianco. Era ormai finita! Era la sera del 23 giugno del 1921.

Tobia Costagliola

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